Nate nel secondo Dopoguerra, le Paralimpiadi sono il simbolo dell'uguaglianza e delle opportunità. Infatti, anche laddove sussistano delle difficoltà fisiche o psichiche, lo sport riesce a unire e a creare un mondo davvero accessibile. Un mondo aperto a tutti, dove anche le persone diversamente abili possano realizzarsi. Ma come nasce un evento sportivo così importante? Vediamo la storia e l'origine delle Paralimpiadi, simbolo dello sport inclusivo.
Qual è, tra le mille caratteristiche di cui si compone il quotidiano delle persone, l’indicatore per definire il livello di qualità della vita? Cos’è a stabilire se, nel complesso, le possibilità di ottenere un presente ed un futuro soddisfacenti sono accessibili a tutti allo stesso modo, permettendo alla singola persona di scegliere come strutturare la propria felicità?
Ora, domandarsi cosa centrino il livello di felicità del vissuto personale con le paraolimpiadi è lecito, ma benché al momento sembri complesso, le due cose finiranno per essere ben più che connesse.Se andiamo a togliere il lavoro e gli impegni richiesti dalla vita di tutti i giorni, quel che resta è un lasso di tempo variabile, personalizzabile da ciascuno a seconda delle proprie preferenze e possibilità: il tempo libero.
Sebbene diversi manuali di psicologia ricordino quanto sia importante la valorizzazione del tempo libero nelle persone con disabilità per “gratificare ed aumentare l’autostima dell’individuo”, è chiaro che si tratti in realtà di qualcosa che va applicato indistintamente ad ogni persona, a prescindere dalle capacità fisiche, cognitive ed economiche.
Infatti, se per una persona che non incontra problemi di accessibilità la gestione del tempo libero viene totalmente affidata alla preferenza del singolo, per chi trova barriere ed ostacoli è invece facile che il concetto si trasformi in “tempo vuoto”. Le conseguenze sono infelicità e insoddisfazione, che danneggiano significativamente il concetto di qualità della vita.
Come discusso trattando delle differenze terminologiche da conoscere per poter parlare di disabilità , ancora una volta il problema non sta nella creazione di una legge ad hoc che sancisca il diritto allo svago e alla libertà di utilizzo del proprio tempo. Infatti la dimensione del tempo libero appartiene già alla sfera dei diritti di cittadinanza.
Si tratta, piuttosto, di creare le giuste condizioni per giungere alla presenza di eguali opportunità sbloccando tutti gli ambiti ancora inaccessibili.
Quando parliamo di tempo libero, momenti ricreativi e spazi di interazione, è inevitabile pensare allo sport e all’attività fisica. L’attività fisica è un elemento indispensabile per la crescita, l’educazione, lo svago e la condivisione. Di conseguenza, è indispensabile all’essere umano, storicamente definito come animale sociale.
Eppure, anticamente, lo sport è stato uno dei principali motivi di esclusione. Basti pensare alle origini dello sport moderno, nato nel XIX secolo come espressione di forza e di vigore, caratteristiche connesse unicamente all’uomo giovane, sano e di sesso maschile. Una visione tutt’altro che inclusiva.
La strada per il cambiamento è stata lunga, e ha visto dapprima l’inclusione delle donne, seguite dagli anziani e, infine, delle persone con disabilità. Quando parliamo di sport accessibili parliamo quindi di qualcosa di relativamente nuovo.
La prima persona documentata ad occuparsi del tema fu Sir Ludwig Guttmann. Egli era neurochirurgo della Gran Bretagna del 1944, all'ospedale di Stoke Mandeville. Guttmann fornì la possibilità di praticare attività sportiva ai pazienti affetti da paralisi spinale traumatica. I primi a poter praticare sport furono giovani uomini e donne appartenenti alle forze armate britanniche, portatori di lesioni midollari.Senza troppe sorprese, i benefici fisici ottenuti dai pazienti furono nettamente superiori a quelli riscontrati con la terapia. Furono d'aiuto non solo nello svago e nel perfezionamento della tecnica atletica, ma anche nel quotidiano, facilitando l’utilizzo della sedia a rotelle.
L’iniziativa, com’era auspicabile, ebbe un successo consistente, portando il 28 luglio del 1948 allo svolgimento dei primi Giochi di Stoke Mandeville per atleti disabili, che videro la partecipazione di atleti ex membri delle Forze Armate Britanniche.
Il percorso per trovare un ufficialità comparabile a quella delle Olimpiadi non fu breve, ma la grande curiosità scaturita dal nuovo evento fece il suo corso, portando i giochi ad essere dapprima internazionali, per giungere al contesto delle Olimpiadi di Roma nel 1960, con la nascita della Federazione Internazionale dei Giochi di Stoke Mandeville.
La manifestazione, da allora, fu annuale. Vennero annessi sport come la scherma, la pallacanestro, il nuoto, le corse, i lanci, il tiro con l’arco, il tiro a segno, il ping-pong e le bocce. Il numero dei partecipanti continuò ad aumentare vertiginosamente, confermando quanto fosse viva la necessità di costituire un evento di tale portata.Fu presto chiaro, inoltre, che i giochi dovessero essere aperti ad altre categorie di disabili, come ciechi e amputati, necessità che vide dal 1964 al 1980 la nascita di associazioni come l’ISOD, l’IBSA e il CP-ISRA.
Fu nel 1982 che, dall’unione delle diverse associazioni in un comitato internazionale di coordinamento, ci si occupò della stesura delle regole tecniche ed organizzative dei Giochi Paralimpici. In occasione delle Olimpiadi di Roma vennero fondati i presupposti per costruire un evento da tenersi ciclicamente, nella stessa città e nello stesso anno del grande evento preesistente.
Nel 1964 si tennero, a Tokyo, le prime Paralimpiadi. Raccolsero 390 partecipanti, quasi raddoppiati quattro anni dopo a Tel Aviv, anno in cui città del Messico rifiutò di ospitare i giochi.
Gli atleti arrivarono a 1000 nel 1972 e a 2500 nel 1980, quando vennero annessi anche i membri dell’ISOD, non vedenti e amputati.
Dopo aver raggiunto il picco di 3200 atleti a Seul nel 1988 vennero introdotte altre discipline sportive a quelle presenti, costituendo i primi Giochi Olimpici Invernali per persone con disabilità dal 1976.Inclusione e rappresentanza compirono un ulteriore passo avanti solo nel 1996, quando durante i giochi di Atlanta le paralimpiadi vennero trasmesse in TV negli Stati Uniti. Tramite le vendite dei biglietti, delle sponsorizzazioni e dei diritti televisivi, emerse la capacità economica della manifestazione sportiva. Vi si affiancò la consapevolezza che l’impatto della stessa non poteva più passare in secondo piano.
In tutto il mondo i telespettatori poterono sentirsi testimoni della nascita di qualcosa di glorioso. La trasmissione televisiva dei giochi realizzò la possibilità per una grandissima parte della popolazione di vedersi rappresentata e vincente in un contesto che coinvolgesse tutto il mondo, costruendo una consapevolezza e una sensibilizzazione finalmente diverse, proiettate verso un futuro più accessibile, libero e inclusivo.
Si fece finalmente viva la consapevolezza che disabilità non dovesse significare “limite”, non fosse una discriminante per non possedere prestazioni fisiche eccellenti e non fungesse da ostacolo per incoronare un vincitore che potesse diventare un modello a cui aspirare.
Attualmente alcune tra le discipline praticate dagli sportivi disabili sono atletica leggera, automobilismo, calcio, canoa, ciclismo, curling, ginnastica ed equitazione. A queste si aggiungono judo, lotta, nuoto, pallanuoto, pallavolo, pattinaggio, sci alpino, sci nautico, slittino e sollevamento pesi.
Avere una manifestazione sportiva dedicata è il minimo per garantire una visione inclusiva ed eguale del mondo sportivo, e consequenzialmente del tempo libero, ma certo è che non tutti siamo o aspiriamo a diventare atleti.
È comunque chiaro che quando parliamo di diritto all’attività motoria, alla possibilità di prendere parte a giochi e attività di svago come momenti di costruzione della propria autonomia, della consapevolezza di sé, dell’interazione con gli altri, della libera gestione del proprio tempo libero per migliorare la qualità della vita, nessuno può venire escluso.
La potenza di questi strumenti è troppo spesso sottovalutata. Spesso le si considera attività che vedono una netta distinzione tra persone affette da disabilità e persone cosiddette “abili”.
Per una valutazione sportiva professionale, in un contesto come quello Paralimpico, tale distinzione è necessaria per non compromettere il metro di valutazione nelle diverse competizioni. Nella vita di tutti i giorni, tuttavia, porre limiti in questo senso non è altro che la manifestazione di discriminazioni abiliste che non possono più essere accettate.
Il diritto di poter fare della propria libertà un utilizzo il più sereno e soddisfacente possibile resta una necessità da soddisfare. Il tutto unito alla necessità di un mondo senza barriere, privo di ostacoli e discriminazioni. Un bisogno che vede e ha visto compiere grandi passi avanti, con un percorso ancora lungo dinanzi a sé. Un percorso da affrontare un giorno alla volta con consapevolezza, attenzione e sensibilità. Per ottenere un futuro finalmente accessibile.
Una grande notizia arriva dalla città di Torino, infatti come comunicato da Chiara Appendino e dal sito dedicato:
“Sono stati assegnati all'Italia i Giochi Mondiali Invernali Special Olympics, 2025. E si svolgeranno proprio qui, a Torino!”
I Giochi coinvolgeranno 3.125 Atleti e Coach, 3.000 volontari, migliaia di persone tra staff, personale medico, familiari, media, ospiti e delegati. A loro si aggiungeranno oltre 300.000 spettatori. Otto le discipline sportive suddivise tra Torino, Bardonecchia, Sestriere e Pragelato.
La Cerimonie di apertura e chiusura si terranno allo Stadio Olimpico Grande Torino.
“Sono davvero entusiasta di questo progetto. Torino è pronta ad ospitare gli atleti Special Olympics, una delle realtà più belle che ho conosciuto in questi anni come Sindaca. Una comunità veramente meravigliosa. I valori rappresentati da Special Olympics sono un esempio per tutti, specialmente per le generazioni future”, ha dichiarato la Sindaca.
Un ottimo segnale che lascia ben sperare in un futuro sempre più accessibile e inclusivo.