L’abilismo è un problema rilevante all’interno della nostra società. Nonostante la disabilità sia infatti largamente riconosciuta e la legislazione in materia tenda a una maggiore inclusività, permangono, negli ambienti sociali, degli atteggiamenti poco apprezzabili, se non totalmente discriminatori, nei confronti delle persone con disabilità. Per queste ragioni, è importante aumentare la sensibilità riguardo all’abilismo: a questo obiettivo tendono le quattro ricercatrici autrici di “Nulla su di noi senza di noi: una ricerca empirica sull’abilismo in Italia”.
Come recita l’introduzione del libro, “l’abilismo, assente dal dibattito pubblico italiano, è invece molto presente nella vita quotidiana delle persone”. Di qui deriva la necessità di approfondire il tema che ha mosso le autrici Rosa Bellacicco (ricercatrice di Pedagogia speciale presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Torino e membro affiliato del Centro di Competenza per l’Inclusione Scolastica della Libera Università di Bolzano), Ester Micalizzi (dottoranda di ricerca in Sociologia presso il DISFORDipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Genova), Silvia dell’Anna (ricercatrice nell'ambito della Pedagogia dell’inclusione presso la Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano), Tania Parisi (ricercatrice di Sociologia generale presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Torino e membro del Laboratorio di simulazione del comportamento e robotica educativa “Luciano Gallino”).
Alla base del libro si rinviene il motto, che fa da titolo alla ricerca: “Nulla su di noi senza di noi”. Pertanto, nella stesura del volume, sono state coinvolte persone con disabilità, esperte per esperienza o attiviste sui temi delle discriminazioni di matrice abilista. Tra queste figure ritroviamo Dajana Gioffrè, psicologa iscritta all’albo professionale, educatrice cinofila ed esperta di accessibilità, che ricopre un ruolo centrale in AccessiWay come diversity and inclusion manager.
Per queste ragioni, abbiamo ritenuto importante approfondire i temi trattati nel libro attraverso l’intervista che segue.
Per prima cosa bisogna dire che soltanto negli ultimi anni In Italia si sta incominciando a parlare di abilismo nel linguaggio comune e nel dibattito pubblico. Si tratta in effetti di una parola ancora poco usata, se confrontata con quelle usate per indicare altre forme di discriminazione, come il sessismo o il razzismo. Ma anche se non si usa molto la parola, l’abilismo purtroppo è molto presente e diffuso nella vita quotidiana delle persone. Possiamo definire l’abilismo come un insieme di credenze, pregiudizi e atteggiamenti discriminatori nei confronti delle persone con disabilità. In parole semplici, l'abilismo, come gli altri -ismi (il razzismo, il classismo e il sessismo e così via) descrive una discriminazione nei confronti di un gruppo sociale (le persone con disabilità) e nasce dal fatto di presupporre che tutte le persone abbiano corpi/menti/sensi “abili”. Quindi, l’abilismo fa perno sul concetto di abilità: il corpo standard dotato di abilità fisica, sensoriale e cognitiva assurge a criterio valutativo di tutti i corpi e diventa un ideale capace di imporsi come universale e naturale. L’abilismo può assumere diverse forme e si può manifestare in diversi modi. Può essere benevolo, per esempio quando si adottano comportamenti paternalistici come l’uso di toni accondiscendenti o il sostituirsi alla persona con disabilità considerandola e trattandola come se fosse eternamente bambina. Sono una manifestazione di abilismo benevolo, ma non per questo meno doloroso per chi lo subisce, anche la celebrazione immotivata delle azioni più banali quando compiute da una persona con disabilità. L’attivista Stella Young ha chiamato questo fenomeno inspiration porn, perchè rende di fatto la persona con disabilità un oggetto al servizio della motivazione ad agire delle altre persone (se ce l’ha fatta lei/lui, puoi farcela anche tu… a maggior ragione). Più scoperte e quindi semplici da intercettare sono invece le forme di abilismo ostile, come per esempio l’uso di un linguaggio offensivo, l’evitamento o la segregazione, le manifestazioni di disgusto, le forme di umiliazione, le aggressioni fisiche e verbali. L’abilismo può infine manifestarsi attraverso un mix di atteggiamenti benevoli e ostili, a seconda della situazione, degli obiettivi, dei bisogni e delle caratteristiche delle persone coinvolte.
L’esperienza di ricerca è per noi un punto di partenza piuttosto che di arrivo. Lo è in primo luogo per la conoscenza e la consapevolezza che ci ha permesso di raggiungere, e su cui crediamo di dover continuare a lavorare sia come gruppo di ricerca sia nelle attività di divulgazione e sensibilizzazione. Ma lo è anche per le nuove prospettive che questo percorso ha creato: opportunità di collaborazione, nuovi temi da indagare, processi di ricerca partecipativi da promuovere.
Il tema dell’inclusione, del resto, vuole travalicare l’ambito della disabilità, senza tuttavia trascurarlo. Vuole estendersi al di fuori dei contesti che se ne occupano nello specifico, facendo entrare nel discorso pedagogico, sociale e politico il tema delle disuguaglianze e delle discriminazioni in ottica intersezionale. L’abilismo, infatti, rappresenta un complesso di fenomeni che riguarda, trasversalmente e con differenti gradazioni, l’intera popolazione. Nella sua pervasività si intreccia con altrettanti fenomeni discriminatori, creando molteplici sovrapposizioni e conseguenze più o meno gravi sulla vita delle persone con e senza disabilità. Ed è per questo che il tema non può essere avulso da un discorso più ampio sui rapporti di potere e sulle minoranze.
Rispetto agli ambiti classici considerati dalla letteratura scientifica e dalla normativa, come il razzismo e il sessismo, l’abilismo merita in questa fase storica un’attenzione particolare, affinché entri a far parte del vocabolario usato comunemente e sia integrato a pieno titolo nella normativa a tutela dei diritti delle persone con disabilità.
Il nostro impegno per il futuro, e ci auguriamo quello di molti altri ricercatori e attivisti, è accendere i riflettori su questa tematica. Il libro che abbiamo appena pubblicato, in versione open access e gratuitamente scaricabile, incarna questo intento divulgativo.
Prima di rispondere con i dati della nostra ricerca, vorremmo richiamare brevemente quelli emersi da un’altra ricerca condotta nel 2019 dall’Eurobarometro. Da questa ricerca è emerso che il 9% degli italiani sarebbe a disagio con un/a presidente della repubblica con disabilità, il 6% lo sarebbe se dovesse interagire ogni giorno con un/a collega con disabilità e il 13% se il proprio figlio/a avesse una relazione sentimentale con una persona con disabilità. Questi dati indicano abbastanza chiaramente che una parte non trascurabile degli italiani farebbe fatica a includere pienamente nella società le persone con disabilità.
Dati simili emergono purtroppo anche dalla nostra ricerca. Per citare solo alcuni esempi: il valore di una scuola inclusiva è messo in discussione da quasi il 40% degli italiani, che ritiene che per i bambini con disabilità sensoriale sarebbero più utili scuole dedicate. Il 72% ritiene che una persona con disabilità che si sforza di comportarsi “normalmente” sia ammirevole, svelando così di ritenere in fondo che corpi/sensi/menti non conformi siano un disvalore. E d’altra parte il 32% degli intervistati ritiene che avere un figlio con disabilità sia la cosa peggiore che possa capitare a un genitore.
Anche sul terreno dell’autodeterminazione siamo piuttosto indietro: dai nostri dati emerge la diffusione di rappresentazioni infantilizzanti e desessualizzate delle persone con disabilità: il 22% degli intervistati non ritiene che le madri con disabilità possano prendersi cura dei figli come tutte le madri, e il 21% che le persone con disabilità abbiano più bisogno di affetto che di una vita sessuale. Colpisce infine che gli ausili e i sussidi siano considerati dal 10% degli intervistati vantaggi ingiusti e quindi non stupisce che altrettante persone ritengano che non sia sempre necessario garantire sottotitoli e audiodescrizioni. Il dato positivo è che la frequentazione di persone con disabilità mitiga di molto gli orientamenti abilisti e questo indica secondo noi una direzione molto chiara verso cui procedere, già intrapresa dalla scuola ma che deve senz’altro estendersi a tutti gli ambiti di vita.
Consentitemi una breve premessa. Il termine abilismo si fa risalire ai movimenti per i diritti delle persone con disabilità degli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso. Ed è quella l’epoca della nascita, negli Stati Uniti, anche del celebre movimento per la Vita Indipendente. Tale movimento è nato sulla spinta di un gruppo di persone con disabilità che hanno iniziato a criticare profondamente la diffusione del modello medico-riabilitativo e le pratiche di marginalizzazione e di istituzionalizzazione che, per anni, hanno tolto loro qualsiasi potere decisionale. Il movimento ha reclamato invece con forza, per le persone con disabilità, le stesse opportunità di scelta sulla loro vita dei soggetti senza difficoltà e il riconoscimento, quindi, della loro capacità di autodeterminazione e di individuazione e negoziazione delle loro esigenze. Tutto questo è ben sintetizzabile nel motto Nulla su di noi senza di noi (Charlton, 1998), oggi slogan mondiale degli attivisti per i diritti delle persone con disabilità. Esso è stata la stella polare che ci ha guidate anche nella conduzione della ricerca e, in particolare, ci ha indirizzate verso la scelta di un metodo partecipativo, che vedesse come protagoniste le persone stesse con disabilità, attiviste nell’ambito della parità dei diritti, su un tema così centrale per le loro vite.
Per anni, infatti, anche la ricerca accademica sulla disabilità è stata largamente intrisa di abilismo e di autoreferenzialità da parte dei ricercatori, connotandosi perlopiù come ricerca sulla popolazione con disabilità e non con la popolazione con disabilità. Il coinvolgimento dei soggetti con disabilità come partecipanti attivi nella produzione scientifica consente invece di superare quei meccanismi di potere che rischiano di imporre i fini e la volontà dei ricercatori su quella delle persone rappresentate nonchè di promuovere esperienze di co-apprendimento e, quindi, di empowerment ed emancipazione nelle persone con disabilità.
Di contro, il nostro approccio metodologico è stato caratterizzato proprio dalla cooperazione paritaria e reciproca tra ricercatori accademici e attivisti con disabilità e ha cercato di mettere al centro i punti di vista e i saperi di questi ultimi. Questo anche perché la nostra ricerca non si poneva come obiettivo solo la produzione di conoscenze scientifiche, ma aveva anche un fine politico, ovvero l’apportare cambiamenti costruttivi nelle vite delle persone con disabilità, in ambiti per loro rilevanti.
Che cosa ci ha lasciato questa esperienza? A livello umano, credo di non essere retorica nel dire che il percorso, la mission verso un obiettivo comune rilevante per tutti/e, ha creato un forte senso di appartenenza al panel e una interdipendenza positiva tra noi, ovvero la percezione che lo sforzo di ciascun membro del gruppo fosse importante e indispensabile. In particolare, a noi ricercatrici “accademiche” ha permesso di “entrare” nelle esperienze vissute dei co-ricercatori/trici con disabilità e di comprenderle dal di dentro, riuscendo così a individuare degli item per la scala realmente significativi secondo chi, quotidianamente, vede e subisce discriminazioni abiliste. Senza il coinvolgimento delle persone con disabilità, semplicemente, questa ricerca non avrebbe avuto origine.
Anche se nella nostra ricerca non abbiamo trattato nello specifico questo tema, è indubbiamente di grandissimo interesse. Siamo tutti d’accordo che la digitalizzazione, a determinate condizioni, abbia davvero la capacità di semplificare la vita delle persone, non solo di quelle con disabilità. Ma a determinate condizioni. Secondo noi è bene tenere a mente che la digitalizzazione ad alcuni semplifica la vita mentre per altri rappresenta un ostacolo aggiuntivo, se non si lavora nella direzione di una vera inclusione. Pensiamo per esempio allo SPID. Si tratta indubbiamente di un dispositivo utile e che snellisce l’espletamento di molte pratiche burocratiche. Ma senza un adeguato accompagnamento, diverse categorie di persone, per esempio gli anziani e stranieri, sono tagliate fuori e si trovano intrappolate in una nuova condizione di svantaggio.
Facciamo un altro esempio, che ci riguarda da vicino, per dire come la digitalizzazione di per sé non garantisca l’inclusione di tutti, anche se è certamente un primo passo in quella direzione. Quando abbiamo pensato al modo migliore per divulgare i risultati della nostra ricerca, ci è parso naturale orientarci verso una pubblicazione che fosse ad accesso libero e gratuito (il libro si può scaricare qui: Nulla su di noi senza di noi : Una ricerca empirica sull’abilismo in Italia | FrancoAngeli Series – Open Access). Ciascuno, comodamente a casa propria può, se ne ha voglia, scaricare il libro e leggerlo. Ma l’open access non garantisce di per sé l'accessibilità a tutte le persone potenzialmente interessate. Anche grazie alla sensibilità dell’Editore Franco Angeli (che ringraziamo per il supporto in tutte le fasi della lavorazione del libro), la pubblicazione è stata predisposta in un formato che non presentasse ostacoli ai programmi di sintesi vocale. Ma anche così non era sufficiente a garantire la piena fruizione per tutti. Proprio grazie alla segnalazione di una delle persone che ha partecipato con noi alla ricerca, abbiamo quindi aggiunto nel testo la descrizione delle immagini. Quanto il risultato sia stato efficace lasciamo che siano i lettori a giudicarlo.